Sia Eminenza il Cannolo Siciliano

Da sempre carnevale è festa di popolo, preceduto da una fase religiosa penitenziale e purificatoria, essa si ricollega al latino “carnem levare”, divieto di mangiare carne ad iniziare dal primo giorno di quaresima.

Tale proibizione veniva però ampiamente “superata” nei cosiddetti giorni grassi, dal giovedì al martedì che precede il mercoledì delle “Ceneri”.

Giorni tradizionalmente di false, intrighi, travestimenti e burle, insomma un periodo di spensieratezza dove tutto è consentito, che non da spazio ai musoni, perché è il tempo per scherzare e chi non ci sta secondo i proverbi, merita di essere paragonato addirittura ad un maiale.

A questo tipo di manifestazioni non può mancare la parte gastronomica, la carne di maiale e le sue trasformazioni diventano la regina della gola.

La carne “capoliata”, in pratica tagliuzzata e cucinata in salsa di pomodoro con l’aggiunta di ricotta, sopra a delle tagliatelle caserecce si prepara un ottimo primo come le “lasagne cacate”.

Il piatto tradizionale è precisamente la salsiccia (sasizza), cucinata in mille modi, ma la sua fine è arrostita alla brace e annaffiata da un buon vinello.

A conclusione per magnificare il tutto, il dolce per eminenza è il cannolo, al plurale “cannola”, il suo nome viene da canna, (rubinetto).

Proviene dal nome volgare (latino) dell’arbusto “canna” (Arando donax) con fusto cilindrico vuoto e nodoso, anticamente usata per vari usi ordinari.

Uno scherzo sicuramente da preti, nato in un dimenticato monastero e successivamente propagato dalla pasticceria palermitana, un motteggio carnevalesco del tempo faceva uscire da un rubinetto (cannolo in siciliano, il termine molto antico e riscontrato in documenti che attestano il significato d’internodo della canna che serviva da cannella per abbeveratoi e fontane) invece dell’acqua, crema di ricotta.

Nel palermitano, dove il dolce è nato, sono notissimi i “cannolicchi”, dalle dimensioni di appena un dito.

La “canna” con la sua forma cilindrica e dal giusto diametro un tempo si usava per dare foggia alla cialda di questa delizia. Il particolare sta nel rivestimento, la “scorcia”, la cialda è preparata con la farina nel cui impasto va aggiunto del vino marsala, l’uovo, lo zucchero e un po’ di polvere di cacao per colorare l’impastatura.

Dopo aver fatto riposare l’omogeneo composto per un’ora viene spianato in una superficie lineare, successivamente si ricavano dei quadrati; oggi l’industria che ha preso il suo spazio ha ricavato delle forme metalliche trapezoidali per ricavare la sagoma della buccia, diagonalmente vengono avvolte intorno alla “canna” o ad un cilindretto di legno o metallico in acciaio, anticamente erano di latta, le estremità bisogna chiuderle pressandole.

La fase consecutiva comporta la frittura in una padella in cui è stato sciolto della sugna “a saimi”, un grasso animale ricavato dal maiale, alcuni usano l’olio d’oliva abbondante. Appena le scorze si sono dorate vengono estratte e fatte asciugare e freddare, prima di staccarle dai tubi con molta cura.

La ricotta di pecora riveste grande importanza perché è l’elemento che va a riempire questo scaramantico cilindro, mescolata allo zucchero crea una crema soffice cui si aggiungono dadini di canditi e scaglie di cioccolato, completano l’opera del pasticciere: la scorzetta d’arancia candita o la “cirasa” o il tondino d’arancia all’estremità e, per finire una spolverata di zucchero a velo.

Il cilindro spesso non è altro che il simbolo della forma fallica, l’adozione emblematica di questa parte virile nasce dalla concezione mistica della forza rigeneratrice e della fecondità nonché dall’averle attribuito (vedasi i falli pompeiani) un valore apotropaico, ossia mezzo per allontanare il “malocchio”.

Nulla ci vieta quindi di pensare che il nostro cannolo ne sia un’espressione, per giunta dolce carnevalesco e definito scettro del re. Un sacerdote palermitano, dedito a poesie, nel 1635 esaltava in un’ottava la magnificenza del cannolo con le metafore “scettru d’ogni re e virga di Moisè”.

A questo prelibato dolce sono particolarmente cari gli emigrati perché legano fortemente la terra d’origine e ogni anno, a Piana degli Albanesi, è dedicata una sagra che si svolge nel periodo di carnevale, durante la quale vengono offerti dei “cannola” caratteristici per le loro generose dimensioni difficilmente riscontrabili in altre zone della Sicilia.

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